Le differenze a tavola tra ceti sociali nel Medioevo
Zuppe di ceci, di fave e di castagne, insieme a latte e cacio, lardo e qualche volta uova. Vino scadente che sapeva di aceto.
Era quanto si trovava sul desco dei poveri, specialmente in città. Poveri e contadini vivevano dei “frutti della terra”: grano, orzo, segale, avena, miglio… I cereali raccolti erano cotti a lungo in paioli di rame, fino a diventare una specie di polenta poco appetitosa, priva di spezie ma anche di zucchero e sale, molto caro il primo, quasi prezioso il secondo.
L’alimento principale è il pane. Scuro, ricco di fibre, cotto una volta la settimana. Oltre al formato a pagnotta, ha la forma delle focacce azzime ed è impastato con farine diverse, cereali poveri, farina di fave o ghiande, crusca e, nei periodi di carestia, “arricchito” perfino di segatura…
Quando andava bene, brodo di gallina e di trippa, interiora.Non male se la quantità fosse stata giusta, proteine e vitamine erano sufficienti.
Nei pranzi dei ricchi invece c’è grande abbondanza di carne e quando ci sono invitati si offrono le vivande più preziose, cucinate con ingredienti costosi come le spezie orientali (una noce moscata può costare quanto un buon cavallo) o lo zucchero (bruno perché di canna, che arriva a Venezia avvolto in foglie di palma).
Nei banchetti ufficiali, o per i matrimoni, le portatesono talmente tante (anche 50) che i commensali non ce la fanno ad assaggiarle tutte. In tavola arrivano “trionfi” di arrosti, selvaggina, pesce, accompagnati da grande abbondanza di salse e di “savori” (salse verdi, dolceforte, agresto, o a base di frutta o di piante aromatiche, con pinoli, mandorle, tartufo) che servono non solo a condire, ma a nascondere sentori di avariato.
Pavoni nostrani arrostiti allo spiedo, pieni di tartufoli… Fricassea di lepori con cipollette e mentuccia.
Gli arrosti, prima bolliti in acqua per ammorbidirli, si presentano “come vivi“, cioè ricomposti e rivestiti del loro piumaggio o della loro pelliccia. In tavola arrivano caprioli, cinghiali, aironi, pavoniadagiati su grandi vassoi di legno o d’argento, con scenografie spettacolari fatte per stupire e suscitare l’ammirazione dei commensali. Lo strano è che ai nostri giorni, con le dovute differenze, la nostra tavola somiglia molto di più a quella delle case contadine, più sana e genuina di quella dei palazzi nobiliari.