Una giornata al mare: i fiorentini negli anni ’50 a Viareggio

Negli anni Cinquanta, mentre l’Italia cercava di lasciarsi alle spalle le ferite profonde della guerra e riscopriva il gusto per la vita, anche i fiorentini iniziarono a organizzarsi per le vacanze estive. Agosto, mese in cui le principali fabbriche chiudevano, divenne il periodo ideale per un po’ di svago e relax, e per molti la meta privilegiata era il mare.

Viareggio, con la sua ampia spiaggia e il fascino della Versilia, divenne ben presto una delle destinazioni più ambite. Per tante famiglie, quel viaggio verso la costa non era solo svago: era una conquista. Fino ad allora, il mare era stato perlopiù un lusso riservato ai più abbienti. Ora, invece, diventava finalmente un’esperienza possibile anche per la gente comune.

La durata del soggiorno variava a seconda delle possibilità economiche: chi godeva di un lavoro stabile riusciva a fermarsi anche una ventina di giorni, mentre altri si accontentavano di una settimana o di qualche giorno soltanto. C’era anche chi, pur di vedere l’acqua salata, si organizzava per una toccata e fuga in giornata. E bastava così poco per rendere felici i bambini, che finalmente avrebbero visto dal vivo quell’orizzonte infinito tanto immaginato.

Il viaggio, per la maggior parte delle famiglie, avveniva in treno. La stazione di Santa Maria Novella, nelle domeniche estive, si animava di interi nuclei familiari carichi di borse, cestini e “sporte”. Dentro vi era tutto il necessario per trascorrere la giornata al mare: teli, vivande, stoviglie e persino l’ombrello da pioggia, trasformato una volta in spiaggia in un rudimentale parasole. Le spiagge, all’epoca, erano ancora in gran parte libere e accessibili a tutti.

Indimenticabile era l’arrivo alla stazione di Viareggio. I bambini, una volta messi piede a terra, si lasciavano travolgere dall’euforia e non vedevano l’ora di raggiungere la battigia. Appena intravisto il mare, spaesati davanti a quella distesa blu dove cielo e acqua si fondevano partivano a corsa verso le onde.

Nel frattempo, i genitori si occupavano di sistemare tutto l’occorrente: stendevano le lenzuola sulla sabbia, sistemavano il cibo, e si preparavano a godersi la giornata. A mezzogiorno, immancabile, si pranzava. Sulla classica tovaglia a quadretti facevano la loro comparsa pentole e tegami con piatti preparati in casa, spesso ancora caldi.

L’abbigliamento era semplice e funzionale. Gli uomini indossavano la canottiera o stavano a torso nudo, magari con i pantaloni arrotolati per non bagnarli; le donne sfoggiavano vestaglie leggere. I costumi da bagno erano scuri e modesti, mentre i bambini correvano liberi con solo delle mutandine bianche e un cappellino per proteggersi dal sole.

Al termine della giornata, dopo un ultimo tuffo, ci si avviava verso la stazione per il rientro. Ma a quel punto, la pelle arrossata parlava da sola: le scottature erano quasi inevitabili, dato che le creme solari erano ancora un lusso inesistente. I più piccoli, in particolare, tornavano a casa con la pelle paonazza, destinata a pizzicare per giorni prima di tornare alla normalità.